‘O tempora o mores!’ Si disperava così Cicerone nella sua prima orazione contro Catilina.

Il Mondo cambia e sempre più velocemente il nostro modo di abitare si trasforma e assume forme e significato differenti.

Negli ultimi 20 anni il nostro vivere quotidiano si è modificato radicalmente con l’avvento delle nuove tecnologie, che accorciano le distanze; in particolare  il web, i voli low cost, l’Europa unita e un sistema del lavoro più flessibile hanno trasformato il modo in cui viviamo, le nostre città, le nostre case e i nostri lavori.

Condividiamo appartamenti, conviviamo per pochi mesi, cambiamo casa ogni anno, spostandoci di città in città, magari in Europa, magari inseguendo il lavoro o gli affetti. Dov’è finito il mutuo trentennale, la casa al paesello, il salotto buono, la camera matrimoniale e la zona notte? Spariti!

Mangio in camera, mando una mail in cucina , in bagno guardo i social e sono connesso al mondo. Non esiste più una rigida divisione degli spazi dell’abitare. Questa trasformazione sta arrivando inesorabilmente anche nei luoghi del lavoro: cucine a vista nei ristoranti, uffici in condivisione e conferenze in skype vicino all’antenna del router.

Abbiamo iniziato noi questo nuovo modo di vivere? No.

In modo più o meno spontaneo Andy Warhol e gli artisti newyorkesi degli anni 70 recuperarono magazzini inutilizzati adibendoli a residenze, set fotografici o di film, studi d’artista, spazi per mostre e gallerie temporanee. In questi grandi spazi vuoti non esisteva più la divisione in stanze ad eccezione dei servizi. In questi grandi spazi si mangiava, si dormiva, si lavorava, si ospitavano feste, mostre e amici; la più celebre: The Factory di Warhol.

Queste prime esperienze, non teorizzate,  spontanee, influenzate forse dai concetti delle comuni di Marx, Freud e Reich, nascono quindi da un bisogno di libertà e flessibilità estrema. Moda e gentrification trasformeranno questi spazi in abitazioni di lusso denominandoli loft e openspace.

Nel 1994, il giovane Rem Koolhaas (#fondazioneprada) dichiara: “ In five to ten years we will all work at home. But then we will need bigger homes, big enough to use for meetings. Offices will have to be converted to homes “.

…e quindi? il futuro è qui e comincia adesso. Ci siamo.

Lavori da casa  senti i tuoi amici on-line, mangi in ufficio, dormi nel salotto del tuo monolocale. Il concetto di monolocale è un’invenzione della fine del Novecento che riassume quanto detto prima: spazio unico e flessibile, separato unicamente il bagno. Un loft, da un punto di vista puramente funzionale e non tipologico, non è nient’altro che la dilatazione spaziale di un monolocale. 

è possibile dare qualità a questi nuovi spazi multiuso? Esiste qui l’architettura? Il design?

Si.

Un esempio? José Selgas and Lucía Cano, lavorano e si formano in silenzio in Spagna, evitando il mondo accademico e non utilizzando i principali media per la diffusione del proprio lavoro, ma piuttosto il passaparola. Decidono di lavorare con il proprio tessuto sociale e nella propria nazione, comprendendo i veri bisogni delle persone e non ritenendo necessarie le superimposizioni di teorie architettoniche più radicali o di famosi architetti contemporanei.

Nel 2014, vengono presentati a Londra con il progetto secondhome office, nelle zone di Brick Lane, dove ridisegnano lo spazio di una vecchia fabbrica di tappeti destinandolo a uffici e coworking  basati sulle nuove tecnologie.

La decisione progettuale è quella di creare uno spazio flessibile e funzionale per una tipologia di lavoro che necessiti unicamente di un laptop, una connessione internet e sale riunioni. Gli spazi non ortogonali permettono di non generare angoli inutilizzabili,  non vi sono porzioni sprecate, ovunque ci si può sedere, lavorare o organizzare una riunione.

La densità delle funzioni permette così di sfruttare al meglio lo spazio e l’iterazione tra le persone; le superfici trasparenti e riflettenti eliminano qualsiasi sensazione di claustrofobia. Utilizzando materiali plastici come l’acrilico, l’insonorizzazione è garantita e l’alto grado di trasparenza permette alla luce naturale di attraversare gli spazi.

I corridoi presentano ribassamenti per alloggiare gli impianti di regolazione dell’aria, in modo tale che il soffitto, più alto nelle zone lavoro, dia una sensazione di maggiore apertura.

Le sedie sono di 600 tipi diversi, numerose anche le tipologie di illuminazione, il tutto per rendere familiare, domestico e più stimolante l’ambiente di lavoro.

Con questo progetto vengono conosciuti in Gran Bretagna e selezionati per disegnare il Serpentine Pavillion 2015 all’interno di uno degli spazi espositivi più importanti d’Europa: la Serpentine Galleries a Kensington Garden, Londra dove ogni anno vengono invitati i migliori progettisti del mondo per realizzare il padiglione temporaneo Serpentine Pavillion.

I media li conoscono e i blog li pubblicano la critica li acclama.

Interessanti sotto numerosi aspetti sono rappresentativi della nostra contemporaneità e dell’evoluzione futura dei luoghi di lavoro e dell’abitare, non siamo così adesso? Lo saremo domani.

Ultimo esempio della loro originalità è il loro sito, guardatelo!

www.selgascano.net

serpentine_whynotmag