In un usuale pomeriggio in redazione, tra un caffè e un altro, è venuto a trovarci uno dei nomi di cui sentiremo parlare sempre più spesso nel panorama del rap italiano. Si tratta di Mosè COV, un ragazzo ilare, simpatico, sorridente e per nulla ammiccante. Avete presente quei personaggi così naturali e senza sovrastrutture che – raramente – si ha la fortuna di incrociare sul proprio cammino? Ecco, Mosè è uno di quelli, un tipo a metà strada tra chi è ancora tanto bambino, con la stupefacente attitudine al volersi ancora meravigliare e un uomo troppo cresciuto, con la testa in testa e un lungo cammino alle spalle, iniziato nei distretti più urban di Milano, precisamente nel quartiere Orsa Vietta, sino ad arrivare, oggi, qui nell’ufficio di WHY NOT, dove ci racconta e ci confida un bel po’ delle sue avventure.


Chi è MOSE COV? 

La mia è una storia tutta milanese che ha inizio nei quartieri tra Maciachini, Bovisa e Niguarda. Il finale del mio nome è importante, nasce nel 2003, quando eravamo un gruppetto di ragazzi che andavano allo stadio, negli anni successivi questo nomignolo è rimasto, essendo stata, tra l’altro, una delle prime combriccole di Milano a fare rap. Prima non lo faceva nessuno. All’interno del gruppo, agli inizi c’era molta gerarchia, se si era sul verde si poteva rappare, se si era sul rosso, no. Io personalmente nasco come produttore e videomaker, ricordo che all’inizio non mi piaceva rappare, ma la cosa importante nella nostra gang è che tutti sapessero fare qualcosa. Poi, con il trascorrere degli anni ho imparato a fare tutto da solo ed è li che ho beccato Fulvio Ruffert. Lui nasce dalla musica elettronica, gira un botto l’Europa e va spesso a suonare a Berlino. Il nostro incontro è stato del tutto casuale, Fulvio non era un fan del rap ma con lui mi son trovato sin da subito ed è lì che è partito tutto. Abbiamo cominciato a provare e da un magazine sono arrivati ad arrivare i primi contratti…

Le tue influenze musicali?

Ne ho svariate. Ricordo che quando eravamo ragazzini andavamo tutti al Dude e agli after, sono nato in questa realtà e la musica techno mi ha sempre influenzato. Comunque, in linea generale, mi piace molto chi ha la poetica, chi ci mette l’enfasi. Prendi, per esempio, Marracah nel periodo di “Briciole” e “Trappole” …, ecco oggi manca quella profondità, che poi alla fine è quella che resta impressa.

In questi primi mesi del 2018 a livello di video hai pubblicato “Da Sempre” e “L’ombra di Londra”, questo segna un nuovo inizio per te?

Diciamo che i singoli che sono usciti prima, nel 2017, sono stati d’allenamento, anche perché ho dovuto affrontare un cambio radicale dovuto al lavoro, devi saperti mantenere, avere una certa stabilità economica, quindi i primi erano per capire dove volevamo arrivare. Con “L’ombra di Londra” abbiamo un forte ritorno, poi con “Da Sempre” sono arrivato a ciò che ho sempre desiderato fare io.

Tu hai collaborato con molti artisti, Quale collaborazione è stata importante per te, sia a livello artistico che umano?

La collaborazione più importante è stata con Dj Lord dei Public Enemy. È venuto a suonare al Magnolia e si era ricordato un po’ di anni prima che avevamo organizzato una serata a Milano in Bovisa, e quando è tornato a suonare al Magnolia siamo finiti in studio a registrare. Ero un ragazzino, avevo tipo 20 anni, e voleva sentire qualcosa di mio. Arrivò un punto in cui gli piacque così tanto un mio pezzo, che mi chiese di andare in America con lui. Ricordo nitidamente l’umiltà che aveva, anche per il solo fatto di stare lì con noi. Ma non è stato l’unico. Ne ho conosciuti tanti di personaggi come lui. Un esempio è stato Chimu Du, il fotografo storico di Tupac, che tra l’altro ho conosciuto per caso, e con lui mi sento tutt’ora. Credo che l’umiltà sia una qualità che prima o poi paga, sta alla base di tutto.

Come è nato il rapporto con Propaganda? Cosa dobbiamo aspettarci?

La nostra collaborazione nasce per caso. Ci siamo beccati tramite degli amici in comune e poi da cosa nasce cosa. Hanno voluto ascoltare dei miei pezzi e hanno voluto poi entrarne a farne parte.

Da questo rapporto cosa dobbiamo aspettarci? 

Sinceramente negli ultimi tempi stiamo andando avanti con i singoli. Appoggio molto il concetto del singolo poiché il disco, non dico che ha perso valore, ma sicuramente ha perso un po’ d’identità. Oramai è tutto quanto su internet, tutto fruibile online. Ti posso dire che sicuramente un disco arriverà ma nel momento in cui avrò fatto tutto il mio percorso che stimolerà poi la gente a volerlo avere fisico.

La tua attuale playlist: indicami 3 brani.

Ascolto veramente tanta musica… la cosa che ti posso dire è che, oltre ad ascoltare le mie creazioni, passo su Kendrick Lamar spesso e volentieri.

Qual è il segreto per differenziarsi secondo te? Mi hai parlato più volte del lato umano. Credi che oggi sia molto più importante rispetto a tempo fa, in cui non c’era il digital, o comunque c’era di meno?

Anzitutto, non fare ciò che fanno gli altri, o comunque reinventarlo a modo proprio, secondo la propria visione. E poi sicuramente imparare ad affidarsi. Non si fa nulla da solo, è una cosa che ho imparato nel tempo. Bisogna lasciar fare alle persone giuste, e qui il lato umano entra in gioco.

A quale proposta azzardata risponderesti WHY NOT?

Così, su due piedi? Ad una collaborazione con Kendrick!

Mosè COV, inoltre, fa parte della lineup del MI AMI Festival, che andrà in scena il 26 maggio a Milano.

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Testo: Giulia Greco
Photo: Gianluca Caldara