Eat Shit, il titolo non poteva che essere provocatorio – anche se l’eco per uno spettatore mediamente acculturato richiama subito Piero Manzoni e la sua “Merda D’artista”- per il progetto che gli studenti del corso “Food non Food” della Design Academy di Eindhoven hanno portato alla nostra Design Week, che si propone di illustrare la metafora del cibo e del suo derivato nelle nostre vite.

L’ esistenza umana- implicazioni intellettuali ed emotive escluse- segue il crudo circolo fisiologico della nutrizione-espulsione-morte, idealmente rappresentato dalla stampante 3d di Olivier Van Herpt: una stampante che ingurgita argilla -composta da materiale organico e sedimenti del fiume- ed espelle oggetti in ceramica.

L’argilla, materiale plasmabile per eccellenza, è attore passivo del processo creativo che si attua attraverso la processazione della stampante: il designer si identifica perciò con esso, così come-sostiene Van Herpt- un essere umano si identifica con i propri escrementi.

Quello che apprezziamo come creazione è spesso frutto di un’espulsione ed è anche, nella contemporaneità, la voracità dello stile di vita consumista, con il suo corollario di effetti drammatici sull’Ambiente.

Su questo tema si concentra “Holy Crap” di Pim Van Baarsen’s, che cerca di gettare luce sulle possibili risoluzioni del problema di smaltimento di rifiuti a Kathmandu, in Nepal, dove la spazzatura viene gettata in acqua e bruciata. La soluzione proposta è sicuramente semplice – la raccolta differenziata- ma il difficile è scardinare una mentalità locale poco attenta all’Ambiente. Viene spontaneo osservare che in Nepal i problemi non sono quelli del Primo Mondo e il design, pur essendo una disciplina con istanze di utilità sociale, non sempre ne tiene conto.

Il riscatto sociale è alla base anche dell’ultima interpretazione del leit motiv “Eat Shit”, “In Limbo Embassy” di Manon Van Hoekel.

Cosa dire dei dropout- richiedenti asilo, apolidi, uomini privati dei diritti politici- che sono visti, comunemente, come lo scarto della società?

I ritratti di van Hoeckel si pongono l’obbiettivo di dare un volto e una legittimazione a chi per ragioni politiche li ha perduti (e si trova, appunto, nel limbo delle ambasciate): ciò che colpisce dei ritratti è la postura fiera delle persone ritratte, in contrapposizione con la condizione di vita che sono costrette a subire, quasi a restituire la potente dignità con cui ogni individuo nasce.