Maurizio Cariati è un giovane artista contemporaneo che noi di Why Not abbiamo avuto la possibilità di conoscere attraverso l’esposizione A spasso con l’arte, che è stata in corso al flagshipstore di Maurizio Pecoraro a Milano durante il mese di Luglio, e che è stata da noi recensita. In questa occasione Maurizio esponeva 9 opere nuovissime appositamente realizzate per lo spazio elegante dello store di Piazza Risorgimento. Le sue tele estroflesse e la sua tecnica particolarissima di dipingere ci hanno fatto venire voglia di saperne di più su di lui, così abbiamo deciso di mettere a tacere la nostra accesissima curiosità intervistandolo e ponendogli alcune domande per capire più a fondo la sua tecnica e per entrare in sintonia con il suo mondo estroflesso.

 

-Ciao Maurizio Raccontaci qualcosina della tua biografia.

Sono nato a Cosenza nel 1983. Ho compiuto i miei studi presso l’Istituto d’Arte di Castrovillari, con specializzazione nel settore metalli. Successivamente ho deciso di frequentare l’Accademia di Belle Arti di Catanzaro indirizzo Pittura. Nel 2010 ho conseguito il diploma di II livello in Arte Visive presso l’Accademia di Brera. A 22 anni ho vinto il premio Celeste, e da allora, una volta trasferitomi dal mio paese nella città di Milano, sono stato proiettato all’interno di un sistema complicato come può essere quello dell’arte. Oggi faccio l’artista calabrese trapiantato da otto anni a Milano e in giro per il mondo.

-Quando hai capito che l’arte sarebbe stata la tua vita?

Di preciso non saprei. Penso che la curiosità da piccolo mi abbia portato ad avvicinarmi all’arte. Ricordo che da ragazzo disegnavo e dipingevo molto. Poi nel corso degli anni la voglia di scoprire, sperimentare e di creare cose nuove hanno fatto il resto. Ed ora non riesco a separarmi da lei, siamo una cosa unica e ci nutriamo a vicenda.

 –La tua tecnica “estroflessa”, raccontaci cosa vuole dire per te questo termine.

Analizzando in modo preciso la parola “estroflessa”, essa significa esattamente: ripiegamento verso l’esterno di un organo anatomico o di un tessuto. Partendo da questa definizione ho cercato di andare oltre la superficie bidimensionale, cercando nuove dimensioni per approdare al nuovo, all’esterno. Utilizzo questa tecnica perché la sento molto in simbiosi col mio modo di essere, ormai è un “amore reciproco”, mi permette di fare ciò che voglio. Lo scopo è quello di cercare, attraverso questa tecnica, di aumentare l’intensità emotiva delle opere: grazie all’estroflessione riesco a sottolineare diversi particolari di un volto o di un immagine che altrimenti non possono essere resi nella loro totalità di espressione.

-I tuoi soggetti umani o animali sembrano quasi volere bucare la tela e venirci incontro con insistenza. Cosa vuoi comunicare all’osservatore?

Le mie opere, volti o animali che siano, escono dalla tela per cercare un dialogo continuo e di primo impatto, dove inizialmente ci trasmettono una sensazione d’ilarità, che solo dopo uno sguardo più curato e dopo un’attenta analisi attraverso i tratti e gli sguardi ci conduce ad una riflessione sui canoni di “bellezza e bruttezza” più profondi. Attraverso un gioco di sguardi tra l’osservatore e le mie opere si crea un legame di senso inscindibile. La luce che scolpisce la forma degli occhi ci permette di scavare nell’anima e far vedere all’interno un proprio stato d’animo,  tanto da poter rivelare la personalità e la storia di una persona. Ecco io cerco di invitare a riflettere sui propri stati d’animo e sulla propria e altrui personalità.

-Dipingi sempre su Juta? Come realizzi la “fuoriuscita” di tela?

Chi conosce bene il mio lavoro sa che non dipingo solo su juta. Certo, la stessa è un materiale che mi caratterizza ma non l’unico. Sperimento materiali diversi, alle volte anche molto differenti fra loro. Di solito utilizzo colori acrilico. Mi piace molto fare interagire sulla stessa superficie che sia un foglio di carta, la juta o la tavola ecc. tecniche con medium differenti.

Per capire come avviene un estroflessione be…bisognerebbe entrare nel mio studio e girare un’opera….e non fermarsi sull’uscio.  Solo cosi si potrebbe conoscere bene il mio lavoro e tutto ciò che lo circonda. Per quanto riguarda il mio lavoro (ma questo dovrebbe essere per tutti gli artisti), va sempre visto dal vivo e mai giudicato dalle immagini che non rispecchiano a pieno il mio genere lavorativo, non essendo piatto.

-La tua opera d’arte preferita e perché?

Sono tante le opere che prediligo dei grandi maestri: Leonardo Da Vinci,  Rembrandt, Géricault, Bacon, Picasso ecc…ma “La Zattera della medusa” di Géricault è quella che mi ha sempre maggiormente colpito. Perché c’è una forte tensione che sale, dove gli uomini lottano disperati, alla ricerca della salvezza. Mi affascina molto il tema dell’uomo dinanzi alla morte…il modo in cui l’essere umano affronta questo mondo e il mondo che ci attende.

Cosa ti è piaciuto della collaborazione con Maurizio Pecoraro?

Lavorare con lo stilista Maurizio Pecoraro è stato di fondamentale importanza per me; un’esperienza unica che sicuramente è stata e sarà fonte d’ispirazione e crescita professionale ed umana.

Cos’hai in programma per il futuro?

In cantiere un progetto per una personale curata da Lorenzo Canova e Piernicola Maria Di Iorio che prenderà vita in autunno.

Oltre a questo…alcune mie opere sono andate oltreoceano e spero possano trovare un nuovo punto da cui partire per un lungo viaggio professionale. Incrociamo le dita….

Così a brucia pelo, a cosa pensi se ti dico “WHY NOT”?

Penso…PERCHE’ NO? (sorriso)

Maurizio cariati -Il sorvegliante! acrilico su juta nera estroflessa, diam.80x21 cm, 2014 whynotmag

Maurizio Cariati Mi sento stupido come una capra! acrilico su juta estroflessa, 130x130x20 cm, 2013- whynotmag